Lei, il paese lo odia. Per una sensazione che le ha sempre dato, il paese, come di un pericolo incombente che aleggia negli spazi interpersonali e negli cipigli.Qualcosa che si agita sotto l’apparenza e che sta pronto a traboccare con forza dalle crepe che improvvisamente compaiono sulla sonnolenta e fragile superficie. La stessa sensazione, immagina Maddy, di chi vive alle pendici di un vulcano.
Odia il paese, anche per il “fatto grosso”. Il “fatto grosso” è esattamente questo, una crepa.
Dopo il trasferimento a Bologna, vissuto all’inizio come una deportazione forzata, aveva trovato un altro ambiente, più trasparente e leggero, capace certamente di sfornare odi, crimini e devianze, ma prodigo anche di un desiderabile senso di alienazione, di distanza e solitudine. Desiderabile per Maddy, perché è questo che le è servito per sottrarsi allo sguardo della gente. Sguardo indagatore, giudicante, derisorio. È stato negli anni passati a Bologna che Maddy ha superato l’anoressia e l’odio per il suo corpo. Ora ne ha quarantuno, di anni. Venticinque esatti dal “fatto grosso”.
Il primo passo: chiamarlo col suo nome.
Non c’è mai riuscita.
Quello che le resta del paese, degli anni fino all’adolescenza e del “fatto grosso” è un odio, una rabbia e una fame di vendetta che raramente la lascia in pace. Per trovare quella pace, ha deciso di tornare.
Lei non è riconoscibile. A mala pena riconosce se stessa, Maddy, figurarsi. Da quando aveva sedici anni, il suo corpo è stato rimodellato dal trascorso di anoressia che le ha tolto le rotondità del viso e dei fianchi, facendole emergere zigomi duri e una silhouette sobria e disadorna. I tratti del viso sanno di matura amarezza anche quando sorride e gli occhi hanno assunto una ombrosità che ne ha modificato il taglio.
È tornata al paese, Maddy, e nessuno l’ha riconosciuta. Si apposta e si nasconde, Maddy, osserva le abitudini da dietro i cespugli vicino al ponte, sgattaiola via senza farsi vedere, soprattutto di notte guarda e studia, lei sa chi.
E quando lui, proprio lui, compare nel suo campo visivo, il cuore prende a battere furiosamente, confermandole che non ci sono strade diverse percorribili, oltre alla vendetta.
Gambe molli. Tieniti al ramo, sennò cadi.
Irrigidisci i muscoli delle gambe.
Le dita fremono, come a voler assolutamente fare qualcosa, anche di insensato.
Tieni a te la ragione, Maddy, non farla fuggire via.
O impazzirai.
Controllo.
Fai sparire quelle lacrime. Bloccale col dorso della mano, ecco, così, brava, prima che sgorghino libere e diventi un allagamento.
Lui ha abitudini paesane; serate di birre al bar e poco altro degno di nota. Ogni tanto si ubriaca. Maddy attende che succeda un’altra volta.
Il buio è trafitto dalle spade di luce dei lampioni, al di là dell’arbusto dietro cui si è nascosta.
Sposta il peso da un piede all’altro.
Calma Maddy.
Controllo.
L’attesa non è lunga, ma nella sua percezione è interminabile. Ad ogni auto che passa, smette di respirare finché i due fanali rossi non si spengono come mozziconi che muoiono nella notte. L’aria frizzante di fine ottobre che normalmente la delizierebbe, la infastidisce, invece. Il fruscio dei rami, così come il gorgoglio del torrentello che scorre sotto il ponte, disturba il suo bisogno di avere il pieno controllo dei rumori della notte.
Sospiri veloci di impazienza.
Paura, tanta.
Il respiro si scombussola, la determinazione anche.
La porta del bar si apre con cigolii familiari, parlottamenti, rutti e risate soffocate dalla distanza. Un gruppo di quattro uomini si incammina. Sono loro.
Voci diverse e difficilmente attribuibili ai loro proprietari.
– Questo coglione non è più quello di una volta. – Quand’è stata l’ultima che l’abbiamo riportato a casa? Sarà manco una settimana. – È andato. – Anch’io, non è che sto tanto in piedi, eh … – Dài ragà, facciamo veloce, che mi scappa! – E falla, no? Non rompere! – Guardatelo! È proprio marcio!
L’esatto copione di una settimana prima. Maddy decide che stasera è la volta buona.
Come una settimana prima, quello che non è abbastanza sobrio da stare in piedi è lui; Maddy lo sa perché gli amici lo trascinano verso quella casa, che è la sua. Come una settimana prima, uno di loro allunga una mano nella legnaia accanto al portone e prende ciò che serve per aprire.
Una settimana prima, a distanza di sicurezza, Maddy ha visto tutto. Una settimana dopo ci impiegano più tempo, i tre, a lasciare l’amico e andarsene.
Forse è lei, Maddy, che calcola diversamente il tempo, adesso che la vendetta è vicina e ogni secondo scorre con una pesantezza che di solito i secondi non hanno.
È tutto tranquillo. I tre hanno preso strade diverse e sono spariti nel buio.
Nessuno ora.
Adesso, vai.
Attraversa la strada, allunga la mano nella legnaia, prende la chiave. Brava Maddy.
Entra. Nella profonda oscurità dell’ingresso si sente subito più tranquilla.
Si muove con circospezione, aiutandosi con una piccola torcia. La consapevolezza di aver superato il confine della legalità le dà un fremito violento in tutto il corpo che le sembra difficile da gestire.
Esplora. Nonostante tutto, va avanti.
Sente un respiro pesante e ritmico che viene da una stanza. È il bagno. Orienta la torcia verso la vasca e lo vede lì, disteso con le gambe accartocciate e la testa appoggiata accanto al rubinetto, i capelli bagnati e appiccicati alla fronte.
Un essere anche più schifoso, adesso che è bagnato. Amici degni di lui hanno provato a rianimarlo. E poi l’hanno lasciato così.
Si siede sul pavimento e lo guarda. Spegne la torcia, perché si è abituata alla semioscurità e da sotto la serranda sollevata di un palmo un po’ di luna riesce ad entrare.
Per molto tempo non pensa niente, ma sente il cuore rimbombare nel petto.
Il dolore è lì con lei.
Maddy, il dolore e la luna si fanno compagnia in silenzio.
Poi senza una ragione si alza, va da lui, gli assesta uno schiaffo con tutta la forza, da mandarla a sbattere sul rubinetto, quella testa.
Insensato e necessario.
Torna a sedersi. Il palmo formicola.
Percepisce un vuoto. Perché? Cos’è?
È il rimorso, che non c’è. Una sensazione nuova.
Non si è mai sentita così libera. Libera di agire senza conseguenze immediate.
Sente il potere.
Maddy, la luna e il potere.
Il destino, se c’è, vuole rendere facile la sua vendetta. Basta aprire i rubinetti e chiudere il tappo.
Io posso, si dice, io posso.
Ci pensa e non si ricorda. Poi conclude con una certezza: non si è mai trovata in una posizione dominante prima d’ora. No, mai. Sempre paura, sempre sottomessa, sempre sguardi bassi.
Un potere segreto, perché nessuno lo sa e solo lei lo sente.
Sparito quel senso di colpa schiacciante che ha provato per la maggior parte della vita e a causa del quale si era reso necessario all’epoca il trasferimento di tutta la famiglia a Bologna.
Via dal paese. Via dal paese, Maddalena penitente.
Vergogna!
I ricordi lasciano riemergere quella sensazione di un male sotterraneo che all’improvviso fiammeggia fuori e distrugge tutto lentamente.
Non prova forse vergogna chi sbaglia? Quanto peso sulla coscienza!
Sparito. Vi è una sola visione ora, quella di Maddy, la sua narrazione, la sua parola.
Primo passo: dargli un nome.
Stupro. È questo il suo nome.
È questa la parola.
Stupro, l’origine del male.
Potevano anche chiamarlo “ragazzata”, ma non era la parola giusta.
– Tu sei uno stupratore. – Sussurra – E io la tua vittima, ancora per poco. Si sente calma, una volta ristabiliti i confini del bene e del male.
Lei è lì per avere giustizia. Anzi, per prendersela. Ha tempo, è ancora notte fonda, ha ancora tanto tempo. – Giustizia … cosa significa questo termine? – Si chiede. Questa domanda rivolta a se stessa la coglie alla sprovvista. È la giustizia del tribunale che l’ha assolto, perché lei ha negato il suo consenso al rapporto in modo poco comprensibile per il ragazzo? È quello che le suggerivano i suoi, la giustizia, di dimenticare tutto, che tutto sarebbe tornato al suo giusto posto? Sono i progetti di vendetta su cui ha fantasticato tutte le notti da allora, sono quelli la giustizia?
Sulla parete opposta alla finestra si muovono nitide e definite le ombre complesse e irregolari dei rami di un albero. È l’unico movimento. E il fruscio del vento sui rami l’unico rumore.
Continua a guardarlo, inerme e abbandonato. Sembra un cadavere, con il capo ripiegato in modo innaturale sul petto, spinto in avanti dalla parete dura della vasca. Il ventre si solleva appena. È in una postura miserevole. Rappresenta tutta la miseria di quello che Maddy in passato ha richiamato nei ricordi con fattezze ingrandite. Per quanti anni, quanti, lui è venuto a disturbare il suo sonno, presentandosi come un essere grande, enorme, dalla forza incontrastabile! Adesso è un corpo, niente più che un corpo a cui si può fare tutto. Spaccargli la testa con un ciocco di legno del camino, sodomizzarlo con il manico della scopa, tagliargli la gola, annegarlo. Punizioni crudeli e disumane.
Barbaro è quello che lui le inflisse. Barbaro deve essere quanto restituito. Lei sa, cosa significa, essere un corpo a cui si può fare tutto. Sa anche cosa significa trascinarsi dietro un corpo rovinato, che non si ripara. A cui si deve negare il cibo, fino a svuotare, seccare, indurire tutto il dolore. Fino a esaurire ogni piccolo soffio di sensualità.
Qualcosa scatta, nel cervello di un ragazzo sciocco e superficiale, a cui qualcuno ha fatto credere che per essere un vero uomo bisogna diventare predatore. E niente può più andare bene, da lì in poi. Niente può più essere sensato ed equilibrato.
Avviene ora che Maddy ha fame.
È normale che abbia fame, ieri non ha mangiato niente per la tensione.
C’è un bisogno che si esprime, si lamenta, vuole essere considerato. È così che rimette a fuoco se stessa.
Sente di nuovo il vuoto, Maddy. Ma è un vuoto diverso dal solito; stavolta c’è una prepotenza nella pretesa di essere riempito.
Si sente forte, in quella misteriosa assenza che avverte. Solo di questo aveva bisogno, in fondo: sperimentare se stessa nella posizione di potere. Ma ora basta.
Quando vede un chiarore rossastro oltre il vetro, con riluttanza prende atto che l’alba sta arrivando e una decisione va presa. La notte è passata velocemente.
Appoggia il viso su entrambi i palmi delle mani e lo massaggia lievemente. Poi, come appena svanito un sogno, si alza. Quasi teme di cadere, per l’inconsistenza dei muscoli delle gambe.
La tua fame, è quella che conta, Maddy.
Lui è stato un fatto accidentale e niente più. Basta dare forza, a questo essere basso e pietoso. Basta tremare. Basta pensarlo. Riprendersi la propria vita non passa per lui.
Attende qualche minuto per recuperare le forze. La sua non-vendetta gliele ha succhiate tutte. È l’alba. Maddy se ne va.
Che bel senso di vuoto estatico, che bello spazio finalmente libero e da riempire nuovamente. Che fame meravigliosa.
Ti attende una vita lontana dal paese, Maddy, dai suoi magmi malefici e le sue croste di perbenismo friabile. Una vita ordinaria e assennata, Maddy.